Da piccolo negozio nel salotto di Milano a brand globale da miliardi di euro quotato alla Borsa di Hong Kong. Prada sfida le convenzioni del lusso, sovverte le regole del fashion. Tra moda e industria, arte e Coppa America. E’ una storia a 360 gradi quella che Tommaso Ebhardt, managing editor di Bloomberg per il Sud Europa, racconta nel suo nuovo libro ‘Prada, una storia di famiglia’, uscito il 12 novembre per i tipi di Sperling & Kupfer. “Scrivendolo mi sono fatto l’idea che in Prada ci sia qualcosa di speciale – dice Ebhardt all’AdnKronos – quella che loro chiamano ‘Pradaness’, ed effettivamente si sente. Io ho girato l’azienda, ho avuto accesso agli stabilimenti a Milano, a Valvigna, ho parlato con tante persone e c’è uno spirito di attaccamento molto forte che fa la differenza. L’obiettivo di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli è far sì che questa Pradaness sopravviva loro”.
Scandagliando archivi aziendali, fonti storiche, documenti mai visionati prima, e grazie a importanti testimonianze, Ebhardt, autore anche di due biografie bestseller su Sergio Marchionne e Leonardo Del Vecchio, rivela particolari sinora sconosciuti sulle origini del Gruppo e i piani del futuro, incluso i dettagli sulla successione familiare che vedono Lorenzo Bertelli, figlio di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, pronto a raccogliere il loro testimone sia come manager che come maggiore azionista della holding di famiglia. “A differenza di altri gruppi familiari, effettivamente loro stanno davvero mettendo in atto questo processo di successione, che è già partito” osserva Ebhardt. A iniziare da Lorenzo. “E’ stato lui a volersi impegnare in azienda e loro stanno lavorando per far sì possa passare nelle sue mani – dice -. Anche dal punto di vista creativo, il fatto che Miuccia abbia un co-direttore creativo come Raf Simons è un passo importante, quindi stanno davvero pensando al futuro”.
Prada è in un momento d’oro, da qualche anno non sbaglia un colpo, ed è totalmente in controtendenza rispetto agli altri competitor e al rallentamento generale che sta mostrando il comparto del lusso. A fine ottobre il gruppo ha presentato i conti relativi ai nove mesi, riportando ricavi in crescita del 15% e un fatturato oltre 3,8 miliardi di euro, grazie anche al traino di Miu Miu. “Forse è un caso ma da quando c’è Lorenzo non hanno sbagliato un colpo – fa notare l’autore – hanno trasformato l’azienda familiare in un’azienda che può avere un futuro. Ci sono stati gli ingressi del ceo Andrea Guerra, del vicepresidente Paolo Zannoni, hanno diviso in business l’azienda. Miu Miu e Prada sono tra i brand che vanno meglio al mondo, e in un terzo trimestre in cui tutti si sono disperati per la Cina Miu Miu ha raddoppiato le vendite”. Il motivo di questo successo, sottolinea Ebhardt, non lo sa probabilmente neanche la stessa Miuccia Prada: “Lei continua a disegnare quello che le piace e non è mai stata così contemporanea”.
Nel libro, Ebhardt definisce la Signora “avanti anni luce” rispetto a molti altri stilisti del panorama mondiale: “Ho cercato di capire la sua diversità, mi è stato dato accesso a persone che intellettualmente le sono più vicine – spiega -. Ho parlato con lo stilista Marc Jacobs, con Micheal Rock, autore di Pradaphere, Francesco Vezzoli, artista amico di Miuccia, con Jacques Herzog, architetto della Tate Modern, che ha realizzato alcuni store e mi sono fatto un’idea di cosa sia quel qualcosa di speciale. Miuccia 30 anni fa ha iniziato a disegnare una donna che non era rappresentata, moderna, emancipata, che decide da sé il suo stile e adesso è contemporanea”. Una narrazione che oggi ha inglobato tutto l’emisfero femminile ma non solo, “visto che Miu Miu viene acquistata anche dagli uomini. Miuccia fa quello che le piace e non è mai stata così contemporanea”.
Quanto a un eventuale polo del lusso che possa sfidare i giganti francesi “non è possibile fare qualcosa che sia comparabile a Kering o Lvmh, le differenze dimensionali sono tali per cui non esisterà mai un polo italiano simile”. Dal canto suo, ricorda Ebhardt, “Bertelli aveva tentato anni fa di fare un consorzio di gruppi italiani che andasse a parlare con una voce sola con i developer cinesi ma non se ne è fatto nulla”. Prada, dunque, “resta indipendente in un mondo che si va a concentrare in grandi poli per farlo devi avere qualcosa che gli altri non hanno, un qualcosa che Prada ha e continuerà ad avere”. L’autore ne è convinto e ha lavorato di fino per restituire al lettore una storia avvincente: “All’inizio è stato difficilissimo avere accesso al mondo di Prada – confessa – mi sentivo un imbucato. Poi ho cercato di far capire quali fossero le mie intenzioni, cioè raccontare non solo l’impresa ma anche le persone”. Un proposito andato a buon fine, parrebbe: “Il libro si chiude con Miuccia che in un backstage mi dice ‘Io e lei ci dobbiamo bere un caffè’. Non posso raccontare cosa ci siamo detti ma per me è stato sorprendente anche a livello personale”. (di Federica Mochi)