Tra i monti che circondano la Valle
di Venafro, in Molise, si cela una vasta necropoli che, scavo
dopo scavo, emerge dal passato. Grazie alle più moderne
tecnologie e all’antropologia forense le sepolture custodite in
quest’area di quasi 20 mila metri quadri iniziano a raccontare
la vita di un’epoca lontana. La prospettiva è far luce sugli
abitanti che si insediarono in questo pezzo di territorio
dell’alta valle del Volturno nel periodo compreso tra il VII e
il V secolo a. C. e, quindi, precedente all’epoca a cui si fanno
risalire i primi insediamenti sanniti datati intorno al IV
secolo. Lo riferisce il coordinatore della ricerca,
l’antropologo Vincenzo Giambarbara, del Centro Studi
Antropologici della Fondazione Neuromed di Pozzilli che lavora
al rinvenimento sotto la supervisione della Soprintendenza per i
Beni Archeologici, Belle Arti e Paesaggio del Molise.
La necropoli, spiega Giambarbara, risale ad un periodo
compreso tra il VI e il V secolo a.C. e, sebbene ancora in corso
di indagine, sembrerebbe organizzata in aree distinte, forse
riconducibile a nuclei familiari, con una o due grandi sepolture
centrali e una serie di altre tombe disposte intorno. “Le
sepolture – prosegue – presentano tutte un’architettura
omogenea con una fossa più piccola spesso rivestita e coperta
con lastre litiche e una controfossa più grande scavata intorno.
I corpi sono sempre deposti in posizione supina, con le braccia
distese lungo i fianchi. Il corredo funerario accompagna ogni
defunto ed è posto ai piedi dello scheletro o in una nicchia
ricavata nella controfossa”. Attualmente gli scavi sono sospesi
ma la ricerca prosegue in laboratorio sui resti scheletrici
degli ultimi individui rinvenuti che gli addetti ai lavori
battezzano con nomi di fantasia per restituire loro dignità e
per facilitarne il riconoscimento. Per ogni ritrovamento
verranno tracciati profili biologici (sesso, età alla morte,
statura, etnia), effettuate analisi del DNA, esami radiologici e
analisi paleontologiche e paleoepidemiologiche per indagare
patologie legate a dieta, tumori e infezioni. Nel laboratorio,
dove gli scheletri vengono puliti, ricomposti e analizzati,
l’antropologo molisano sottolinea che “scoprire una sepoltura è
come aprire una finestra sul passato, una tomba è una capsula
del tempo nella quale si conserva oltre al corpo anche elementi
utili a ricostruire la storia e l’ambiente in cui essa ha
vissuto. Non va considerata solo come l’ultima dimora ma come
qualcosa in grado di rappresentare la cultura di chi ha vissuto
in quest’area nei tempi antichi diventando, di fatto, un bene
culturale”. Ci mostra poi uno scheletro, il suo nome è diventato
Elena: “è morta a circa 30/35 anni, sepolta con il suo bambino
deposto tra le gambe, con la testa rivolta verso l’alto e i
piedi verso il basso. Le sepolture bisome (con due corpi)
mamma/figlio sono straordinarie, ma questa di Pozzilli lo è
ancora di più per la posizione del corpo del bambino. Gli
studiosi hanno escluso la possibilità che il bambino sia stato
espulso dal corpo della mamma in tomba, si è dunque ipotizzato
che il bambino e la mamma siano morti insieme poi deposti nella
tomba. Ipotesi avvalorata anche dal rinvenimento di una lastra
di pietra posta sulle gambe di entrambi come impedimento
simbolico al movimento. Potrebbe riflettere una paura antica del
ritorno in vita dei defunti, un timore dei “revenant”. Tra gli
elementi di corredo posto ai piedi della donna è stato rinvenuto
un uovo, emblema di vita usato forse a simboleggiare la speranza
o il ciclo della vita e della morte”.
“L’area intorno al Polo didattico e al Parco tecnologico di
Neuromed, – spiega Giambarbara – è sottoposta a vincolo diretto
dalla Soprintendenza Archeologica già dalla metà del secolo
scorso quando, a seguito di indagini di archeologia preventiva e
di emergenza, erano state rinvenute le prime sepolture e una
serie di fornaci di epoca ellenistica per la ceramica. Le
attività archeologiche della Fondazione Neuromed sono iniziati
nel 2016 in seguito al ritrovamento dei resti di una Villa
romana durante lavori di ammodernamento dei sottoservizi
tecnologici, si decise, quindi, di avviare e finanziare una
campagna di scavo che fu seguita prima dalla Soprintendenza e
successivamente dall’Università di Tor Vergata. La necropoli è
emersa nel 2022 durante le attività di archeologia preventiva
per la piantumazione di una siepe. Da quel momento la Fondazione
ha deciso di dotarsi di un Centro studi antropologici per il
coordinamento dei lavori di scavo e le successive attività di
ricerca multidisciplinari. Attività che saranno meglio
illustrate durante la presentazione alla stampa in occasione
delle Giornate Europee della Cultura alla fine di settembre”. La
necropoli si trova nella porzione più occidentale del Molise che
fino alla fine dell’800 faceva parte della Provincia di Caserta,
la cosiddetta “Terra di Lavoro”, e, quindi, aveva rapporti
strettissimi con il territorio capuano. La zona è ricca di
evidenze archeologiche per la presenza dell’Acquedotto augusteo
del Volturno, di almeno quattro Ville romane, di sepolcreti e
dei resti di un vasto impianto termale presso le sorgenti di
acqua sulfurea che all’epoca della scoperta fu denominato Terme
di Agrippa.
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