«La sede di Londra delle Camere penali internazionali lancia un appello alle autorità politiche di Israele e Palestina: una nostra delegazione è pronta a raggiungere il Medio Oriente come osservatori indipendenti e promuovere la costruzione di un tavolo tecnico di pace a cui invitare giuristi e tecnici del diritto internazionale di entrambi i Paesi».
Lo dice l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale e direttore dell’Osservatorio di politica estera di Cpi.
«Siamo disponibili a mettere al servizio della causa della pace la nostra esperienza e il nostro ruolo di operatori del diritto internazionale – ha aggiunto Tirelli –. Abbiamo avviato alcune interlocuzioni con diplomazie in rapporti diretti con le parti in causa e attendiamo sviluppi. Non c’è alcuna chiave politica nella nostra azione, ma solo il desiderio di impedire che una delle aree geopolitiche più importanti del pianeta si incendi. Con me, nella delegazione, ci saranno giuristi, avvocati ed esperti di diritto internazionale di tutto il mondo, che saranno disponibili a lavorare con le istituzioni internazionali per trovare un punto di equilibrio che assicuri la cessazione delle ostilità».
«Pacificare il Medio Oriente, dopo decenni di scontri con migliaia di morti, deve essere la priorità per la comunità internazionale che non può sopportare e consentire, ancora a lungo, uno spargimento di sangue innocente. Le operazioni di terra per l’occupazione della Striscia, dal punto di vista israeliano, rappresentano un successo politico e strategico per Benjamin Netanyahu in grado di definire e chiudere il conflitto attuale e di neutralizzare nuove azioni di guerriglia da parte del terrorismo islamico».
«L’azione fulminea di Israele, da un lato, ha evitato che l’opinione pubblica internazionale ostacolasse l’invasione e, dall’altro, ha determinato, con la sottrazione di Gaza al controllo dei terroristi di Hamas, un cambiamento d’orizzonte nei piani futuri per la pacificazione e la messa in sicurezza dei territori. Di fatti, da un punto di vista puramente geografico, i palestinesi sono dislocati in due territori, due enclave distanti e separate dal territorio israeliano, che rappresentano una perenne spina nel fianco di Tel Aviv. La conquista di Gaza, invece, produce un effetto immediato: l’isolamento marittimo e terrestre dei palestinesi. In questo modo si è quasi del tutto azzerato il rifornimento via mare (anche di armi) proveniente da Iran, Russia, Corea e altri Stati amici ma si è, altresì, inibito lo sfruttamento dei giacimenti gassosi e la libera circolazione dei palestinesi sul territorio israeliano, compattandoli in una sola zona, con un’ampiezza territoriale non preoccupante per Tel Aviv».
«La conquista e l’espulsione dei palestinesi dalla Striscia può favorire i negoziati di pace, dunque. L’interesse di Israele è guardare verso il Sinai, senza fastidi e ingerenze di popoli terzi nella sua area d’influenza. Per raggiungere tutto ciò, Tel Aviv è consapevole che dovrà cedere qualcosa al popolo palestinese, per non inimicarsi l’opinione pubblica mondiale. In un futuro non troppo lontano, Tel Aviv potrebbe avallare la creazione di uno Stato palestinese al confine con la Giordania, soluzione più praticabile e meno pericolosa. Come il Lussemburgo per esempio, che sia ampio a sufficienza, autonomo e governato dai palestinesi e, magari, difeso da una forza d’interposizione (peacekeeping) dell’Onu che potrebbe garantire il rispetto dei confini». «Una ristrutturazione geopolitica che, con le sole “armi” della politica e della diplomazia, soprattutto sotto la pressione della opinione pubblica mondiale, che sta iniziando a rumoreggiare già da qualche giorno, non sarebbe stato possibile condurre. Con l’occupazione di Gaza, ci potremmo trovare, insomma, davanti a una mossa in grado di risolvere quasi per sempre l’annosa questione israelo-palestinese»